La rilevanza dell’impairment test nei bilanci che hanno subito effetti negativi a seguito della pandemia da COVID-19.

Pubblicato sulla rivista “Crisi, gestione economico finanziaria e rilancio dell’impresa“.

A causa dell’attuale crisi economica, derivante dalla crisi sanitaria, così come dalla particolare appetibilità della legge di rivalutazione monetaria, quest’anno, e negli anni a venire, sarà fondamentale verificare la recuperabilità del valore delle immobilizzazioni materiali e immateriali attraverso il c.d. l’impariment test. Il presente contributo esamina le condizioni per l’effettuazione della verifica, ma anche le diverse tecniche che possono essere adottate in ottemperanza al principio contabile OIC 9. 

Introduzione

L’emergenza sanitaria causata dall’epidemia di Sars-cov-2 ha prodotto effetti rilevanti, principalmente negativi per la maggior parte delle società, sul contesto economico in cui le imprese si trovano a operare.

Tale evento, caratterizzato da più stop forzati delle attività produttive e commerciali a causa dei c.d. lockdown, nonché dalla contrazione significativa dei consumi generata dal presente stato di incertezza, si è tradotto in un diffuso peggioramento dei risultati reddituali delle imprese. Tale effetto, con buona probabilità, non si limiterà all’anno 2020, ma potrebbe realisticamente protrarsi anche nei prossimi anni a venire.

In particolare, prendendo in considerazione gli effetti in termini di contrazione dei ricavi e dei redditi delle imprese, particolare attenzione sarà da prestare nella determinazione della recuperabilità degli asset iscritti nell’attivo di stato patrimoniale. Si tenga infatti presente che una flessione nelle previsioni economico-finanziarie della società potrebbe compromettere la valorizzazione di certi investimenti generando a livello di bilancio le c.d. perdite durevoli di valore nelle immobilizzazioni materiali e immateriali.

Su tale tema l’Organismo Italiano di Contabilità (OIC) è intervenuto il 4 maggio del 2020 per chiarire una serie di dubbi interpretativi che parevano essere sorti circa la valorizzazione delle immobilizzazioni materiali e immateriali già in fase di preparazione del bilancio 2019. In particolare, l’OIC ha sottolineato come l’evento pandemico sia da intendersi come successivo rispetto alla chiusura del bilancio. In funzione del principio della competenza, infatti, tale circostanza non doveva essere recepito nei valori di bilancio al 31 dicembre 2019, in quanto, come disciplinato dal principio di contabile OIC 29 non si trattava di un fenomeno già in essere alla data di riferimento del bilancio. Per tale ragione l’OIC ha precisato che gli effetti generati dalla pandemia (registrati nella primavera del 2020) non erano da considerarsi quali segnali/indicatori di perdita di valore delle immobilizzazioni in sede di predisposizione del bilancio 2019. Inoltre, lo stesso OIC ha precisato come tale evento non dovesse essere preso in considerazione per il calcolo dei flussi finanziari futuri attesi dagli asset aziendali. In ottemperanza con quando suggerito dall’OIC 29, al paragrafo 61, gli effetti della pandemia dovevano comunque essere illustrati in nota integrativa, coerentemente con quanto richiesto dalla previsione codicistica contenuta all’articolo 2427, comma 1, numero 22-quater, con riferimento a “la natura e l’effetto patrimoniale, finanziario ed economico dei fatti di rilievo avvenuti dopo la chiusura dell’esercizio”. Il presente contributo analizza come, in in base alle previsioni contenute nel principio contabile OIC 9, la crisi pandemica, e in particolare gli effetti da essa generati, siano elementi essenziali da considerare in sede di predisposizione del bilancio 2020, nonché in ambito di sua verifica.

Il concetto di recuperabilità

Il tema delle perdite durevoli di valore nelle immobilizzazioni è in prima istanza disciplinato dall’articolo 2426 c.c., comma 1, numero 3, e prevede che l’immobilizzazione che alla data di chiusura dell’esercizio risulti durevolmente di valore inferiore a quello determinato, secondo i numeri 1 e 2 (valore netto contabile), deve essere iscritta a tale minor valore. Il linea con quanto disposto nei principi contabili internazionali (IAS 36), il legislatore italiano ha introdotto nel Codice Civile l’obbligo in capo ai redattori del bilancio di accertare, al termine di ogni esercizio, la presenza di eventuali segnali di perdite durevoli di valore, nonché, qualora ne sussistano le condizioni, di effettuare l’impairment test. Il redattore del bilancio è quindi chiamato a esaminare periodicamente la recuperabilità dei valori iscritti nell’attivo di stato patrimoniale, tale valore si identifica come il maggiore tra il valore d’uso del bene nel processo produttivo, oppure tramite la vendita dello stesso.

Entrando nel merito delle sue componenti, si ricorda che il fair value è generalmente inteso come il prezzo che si otterrebbe dalla vendita di un’attività, oppure l’importo che si pagherebbe per il trasferimento di una passività, in regolari operazioni condotte tra operatori di mercato indipendenti. Tale valore è al netto degli eventuali costi di transazione, anche noti come costi connessi alla vendita. Per valore d’uso, invece, si intende il valore determinato sulla base dell’attualizzazione dei flussi finanziari futuri che si prevede abbiano origine dall’utilizzo dell’immobilizzazione, o del più prossimo complesso di beni (che includa l’immobilizzazione) in grado di produrre flussi finanziari. Tali flussi devono essere considerati ovviamente in funzione della vita utile dell’immobilizzazione.

Il codice civile, così come i principi contabili nazionali (OIC 9) e internazionali (IAS 36), prevedono che non si possa iscrivere all’interno dell’attivo di stato patrimoniale un valore contabile superiore al c.d. valore recuperabile. In sede di predisposizione dei bilanci sarà necessario provvedere ad una verifica della recuperabilità (impairment test) del valore delle immobilizzazioni è sarà quindi opportuno, in prima istanza, calcolare, qualora possibile, il fair value al netto dei costi di vendita. Si fa infatti presente che in alcuni casi, si pensi ad esempio ad alcune categorie di immobilizzazioni immateriali, il fair value potrebbe essere uguale a zero. In particolare per quelle poste considerate non “monetizzabili”. Se tale valore (il fair value) dovesse essere superiore al valore netto contabile alla data del bilancio, non sarà necessario effettuare altri tipi di valutazione, in quanto il solo fair value è da solo in grado di garantire la recuperabilità del valore iscritto. Qualora invece il valore netto contabile dovesse essere superiore al fair value si dovrà procedere necessariamente con la determinazione del valore d’uso. Una volta stimate entrambe le componenti e individuata la maggiore delle due, quest’ultima sarà da comparare con il valore netto contabile. Laddove il valore netto contabile sia superiore al valore recuperabile, sarà necessario apportare una svalutazione pari alla differenza tra i due importi. Tale svalutazione sarà imputata come componente negativa di reddito in conto economico alla voce B.10.c. Qualora invece il valore recuperabile sia superiore al valore netto contabile, il test risulterà superato e pertanto non sarà necessario apportare rettifiche. Al contrario, in questa specifica circostanza, dovessero essere state effettuate delle svalutazioni nei periodi precedenti, si dovrà valutare l’opportunità di un ripristino del valore. In particolare sarà possibile procedere con il ripristino nel caso in cui siano venuti meno i motivi che avevano giustificato la svalutazione. Tale procedura deve comunque essere fatta nei limiti del valore che l’attività avrebbe avuto se la rettifica di valore non avesse avuto luogo. Va precisato però che tale ripristino non riguarda tutte le immobilizzazioni, il ripristino è infatti precluso ai sensi dell’OIC 9 per l’avviamento e gli oneri pluriennali.

Le peculiarità dell’OIC 9

A seguito delle modifiche introdotte dal decreto legislativo n.139 del 2015, OIC parallelamente ha avviato un articolato processo di aggiornato dei principi contabili nazionali.

Tra le principali novità, fu pubblicato un apposito principio contabile OIC 9 che disciplina la svalutazione per perdite durevoli di valore delle immobilizzazioni materiali e immateriali.

In particolare, a differenza di quanto previsto dalla prassi contabile internazionale, tale principio contabile individua due diverse impostazioni finalizzate alla determinazione del valore d’uso che variano in funzione delle dimensioni della società. La prima è il c.d. approccio generale basato sull’attualizzazione dei flussi finanziari così come disciplinato dai principi contabili internazionali, una seconda via e il c.d. approccio semplificato, applicabile alle imprese di minori dimensioni e basato sulla nozione di carattere economico, più che finanziario, ossia la capacità di ammortamento. Come detto, tali approcci hanno la finalità di determinare il valore d’uso, operazione però non necessaria qualora il valore di mercato eccedesse il valore netto contabile.

Il principio contabile inoltre precisa che il valore recuperabile deve essere determinato solo se gli amministratori individuano la presenza di specifici indicatori di perdita di valore delle immobilizzazione. Va però considerato che in assenza di indicatori di potenziali perdite, non sarà necessario procedere all’impairment test.

Al paragrafo 17 del suddetto principio contabile vengono forniti alcuni indicatori di minima da prendere in considerazione:

  1. il valore di mercato di un’attività è diminuito significativamente durante l’esercizio, più di quanto si prevedeva sarebbe accaduto con il passare del tempo o con l’uso normale dell’attività in oggetto;
  2. durante l’esercizio si sono verificate, o si verificheranno nel futuro prossimo, variazioni significative con effetto negativo per la società nell’ambiente tecnologico, di mercato, economico o normativo in cui la società opera o nel mercato cui un’attività è rivolta;
  3. nel corso dell’esercizio sono aumentati i tassi di interesse di mercato o altri tassi di rendimento degli investimenti, ed è probabile che tali incrementi condizionino il tasso di attualizzazione utilizzato nel calcolo del valore d’uso di un’attività e riducano il valore recuperabile;
  4. il valore contabile delle attività nette della società è superiore al loro fair value stimato della società (una tale stima sarà effettuata, per esempio, in relazione alla vendita potenziale di tutta la società o parte di essa);
  5. l’obsolescenza o il deterioramento fisico di un’attività risulta evidente;
  6. nel corso dell’esercizio si sono verificati significativi cambiamenti con effetto negativo sulla società, oppure si suppone che si verificheranno nel prossimo futuro, nella misura o nel modo in cui un’attività viene utilizzata o ci si attende sarà utilizzata. Tali cambiamenti includono casi quali:

– l’attività diventa inutilizzata,

– piani di dismissione o ristrutturazione del settore operativo al quale l’attività appartiene,

– piani di dismissione dell’attività prima della data prima prevista,

– la ridefinizione della vita utile dell’immobilizzazione,

– dall’informativa interna risulta evidente che l’andamento economico di un’attività è, o sarà, peggiore di quanto previsto.

Si presti particolare attenzione al punto 2, in quanto tra gli indicatori della crisi vanno considerati non solo aspetti “endogeni” alla società (si pensi al deterioramento fisico o alla riconversione del processo produttivo), ma anche fattori “esogeni”. Variazioni significative del mercato e del contesto economico in cui l’impresa opera sono probabili conseguenze dell’attuale crisi pandemica che rimetteranno in discussione le previsioni dei prossimi anni. Per tale ragione, quest’anno, e nei successivi, sarà di primaria importanza per amministratori, revisori e sindaci un’accurata analisi della recuperabilità delle immobilizzazioni per la maggior parte delle imprese colpite dagli effetti della crisi pandemica. Tale tema risulterà altrettanto attuale anche in conseguenza della legge di rivalutazione dei beni d’impresa contenuta all’articolo 110 del D.L. n. 104/2020. Sarà infatti importante, anche per gli anni a venire, un costante monitoraggio di tali valori che potrebbero essere stati sovrastimati (o comunque non più recuperabili) al fine di fronteggiare le difficoltà temporanee.

Procedura semplificata con l’utilizzo del costo ammortizzato

 

L’impairment test è un’operazione complessa che richiede oltre alle generali conoscenze contabili anche competenze per l’elaborazione di piani pluriennali e di analisi finanziarie, nonché da parte dell’impresa di un assetto organizzativo tale da consentirle di predisporre dati prospettivi attendibili. L’introduzione del modello semplificato è finalizzato nel facilitare le imprese di minori dimensioni nella determinazione del valore d’uso delle immobilizzazioni. Imprese nelle quali, molto spesso, gli amministratori non detengono competenze tecniche strutturate in ambito contabile, né sistemi di pianificazione di medio lungo termine strutturati.

Le imprese, quindi, che nei due anni precedenti non abbiano superato due dei parametri definiti per la redazione del bilancio in forma abbreviata (50 dipendenti, 4,4 milioni di totale attivo, 8,8 milioni di ricavi delle vendite), possono optare per il ricorso alla cosiddetta procedura semplificata. Tale procedura quindi risulta opzionabile anche alle microimprese.

Le principali facilitazioni che tale approccio concede sono, in primis, l’utilizzo del cosiddetto flusso economico, o di reddito, al posto di quello di carattere finanziario, ma anche di poter considerare l’impresa nel suo complesso come unica unità generatrice di cassa/reddito (senza dover quindi risalire necessariamente a sue sotto componenti). In particolare si dovrà valutare che la capacità di ammortamento, ossia il margine economico che la gestione mette a disposizione per la copertura degli ammortamenti, sia tale da coprire gli ammortamenti previsti nel futuro subito prossimo (periodo preso a riferimento). Sotto il profilo operativo, quindi, sarà necessario procedere alla predisposizione di un piano prospettico che abbia una durata compresa tra i 3 e 5 anni (è auspicabile che le previsioni non eccedano i 5 anni). Tale piano, per essere ufficializzato e spendibile di fronte a sindaci e revisori, dovrà essere approvato dal consiglio di amministrazione. Partendo quindi dal conto economico si determinerà la capacità di ammortamento prendendo a riferimento i ricavi di vendita, i costi di produzione (diretti e indiretti), gli oneri finanziari e le imposte determinate sulla gestione caratteristica. A differenza di quanto si fa nelle stime utilizzando il modello “generale”, in questo conteggio sono da considerare sia gli interessi passivi, sia le imposte, rendendo quindi più rigida la verifica, ma non sarà necessario procedere all’attualizzazione dei flussi di reddito. Va però precisato che queste previsioni non dovranno tenere conto di possibili ulteriori investimenti che possono prevedersi nel periodo preso a riferimento (e quindi anche dei rispettivi effetti che tali investimenti potrebbero avere a livello di gestione), in quanto, come delineato al paragrafo 33 dell’OIC 9, si deve far riferimento alla sola struttura produttiva esistente alla data di riferimento del bilancio. Saranno invece da considerare tutti i costi necessari al mantenimento dell’attuale capacità produttiva (una sorta di capex). Fatte queste precisazioni, nel calcolo si prenderà da un lato la sommatoria della capacità di ammortamento disponibile nei singoli anni del periodo di previsione, e tale valore che dovrà essere uguale o superiore alla sommatoria degli ammortamenti previsti nel medesimo periodo. Qualora la capacità di ammortamento non sia tale da coprire il valore degli ammortamenti, si dovrà procedere alla svalutazione partendo in primis, se presente, dalla posta di avviamento e poi in proporzione su tutte le altre immobilizzazioni coinvolte. Si tenga inoltre presente che un eventuale incapienza sul singolo anno non comporta necessariamente una svalutazione, ma sarà necessario che la sommatoria di periodo sia tale da poter fronteggiare la sommatoria delle quote di ammortamento annue.

Procedura generale con l’attualizzazione dei flussi finanziari

Il metodo generale invece si basa, per la determinazione del valore d’uso, sul valore attuale dei flussi di cassa attesi da una singola immobilizzazione o da un’unità generatrice di flussi di cassa, in linea con il paradigma applicato nei principi contabili internazionali. In particolare la valutazione tenderà a non essere più fatta a livello di impresa nel suo complesso, come singola unità generatrice dei flussi di cassa (CGU – Cash Generating Unit), ma si dovrà scendere a livello di singolo cespite, oppure, al più piccolo complesso di attività per il quale si può stimare il flusso di casa.

Individuata la CGU, si dovranno determinare i flussi finanziari in entrata e in uscita che deriveranno dall’uso continuativo dell’attività e dall’eventuale sua dismissione finale. Tali valori saranno oggetto di attualizzazione. La stima dei periodi futuri, anche in questo caso, deve essere fatta sulla base di piani prospettici di durata non superiore ai cinque anni per quanto riguarda le previsione esplicite, i flussi successivi, si determinano attraverso la determinazione del valore terminale. I flussi da prendere in considerazione al fine del calcolo, sono solo quelli operativi e quindi quelli che comprendono i flussi derivanti dall’utilizzo del bene, ma anche quelli in uscita per il suo utilizzo e mantenimento al fine di garantirne l’attuale capacità produttiva. Anche in questo caso, sono esclusi gli eventuali effetti prodotti da investimenti futuri incrementativi che si stima di sostenere in un prossimo futuro.

Nel modello generale, a differenza di quello semplificato, non si considerano i flussi non operativi quali quelli con natura finanziaria e fiscale.

Inoltre, a differenza dei redditi previsti da piano del modello semplificato, i flussi finanziari dovranno essere necessariamente soggetti ad attualizzazione. Nella determinazione del tasso di attualizzazione, deve essere preso in considerazione il costo medio ponderato del capitale anche noto come Weighted Average Cost of Capital (WACC). Tale tasso deve essere determinato considerando in maniera aggregata il costo dell’Equity e il costo del debito. Nella determinazione di tali componenti saranno da considerarsi il rendimento degli investimenti “privi di rischio” alla data di bilancio, il beta di settore, il rischio paese e l’eventuale “size discount”, il costo dell’indebitamento e l’effetto leva finanziaria.

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